- 01/06/2021
- Belgio-Francia-Svizzera
L’Escale Louise de Marillac a Fresnes, un’esperienza di Ephata
Tra la paura e la confusione che spesso affliggono i parenti dei detenuti, ci sono le Figlie della Carità; quattro Suore e alcuni volontari per tenere le porte e i cuori aperti alle famiglie dei detenuti. Dall’arrivo delle prime due Figlie della Carità a Fresnes nel 1755 per curare i malati e insegnare ai bambini, la Compagnia, mossa dallo Spirito, non ha mai cessato di aprirsi alla continua chiamata di Cristo nella persona dei poveri. Suor Madeleine nelle ambulanze, un’altra alla lavanderia, alcune alla porta, al dispensario, nella scuola per ragazze… tutto questo in collaborazione con gli abitanti di Fresnes: non meno di due comunità nella stessa strada.

Nel 1904, dopo la separazione tra Chiesa e Stato (legge Combes), le Suore accolsero un centinaio di ragazze. La Suor Servente di allora, Suor Carola, ottenne il permesso per tenere aperta la casa. In segno di gratitudine fece fare una chiave per simboleggiare l’apertura ponendola ai piedi della statua della Vergine nella cappella della comunità. Da allora, “l’apertura” è rimasta al cuore dei progetti comunitari delle Figlie della Carità di Fresnes.

Oggi, una Comunità multiculturale di quattro Suore anima il lavoro all’Escale Louise de Marillac e cerca di vivere quotidianamente l’Ephata. L’Escale è un rifugio e un alloggio sicuro, un’oasi di pace per le famiglie dei detenuti nelle prigioni di Fresnes, Fleury-Mérogis o in altri centri di detenzione della regione Ile de France. Accogliamo principalmente famiglie provenienti da province che sono a più di 200 km di distanza da Parigi o da altri paesi.

L’Escale fu aperta nell’agosto 1989 in risposta ad una chiamata da parte delle famiglie dei detenuti. Da allora, le porte sono sempre state aperte; la Comunità vive al ritmo dell’area visitatori delle carceri, per offrire uno spazio dove le famiglie possano riposare e deporre il fardello del loro dolore prima e/o dopo una visita difficile a un familiare in detenzione. Soprattutto, è necessario salvaguardare i legami affettivi e familiari che rischiano di sgretolarsi durante la detenzione, il processo e la scarcerazione perché il carcere destabilizza e indebolisce i legami familiari. L’idea di aprire l’Escale fu molto contestata a quel tempo perché l’ambiente carcerario era spaventoso. Per le Suore, si trattava di abbattere i muri della paura con l’audacia della carità per aprirsi, andare verso e incontrare queste famiglie.
La Comunità ha dovuto adattarsi nel tempo e secondo gli eventi per essere in grado di rispondere alle esigenze del momento pur rimanendo attenta e aperta alle nuove sfide. Durante questo periodo di pandemia, si sono avute altre richieste individuali o di consulenti per la libertà vigilata e l’integrazione e da parte di associazioni partner che lavorano nelle carceri, con richieste per accogliere persone in uscita dal carcere, persone in situazioni molto precarie e migranti in cerca di aiuto, a breve o lungo termine a seconda dei bisogni.

Vivere in una tale missione richiede radicamento nella preghiera, un cuore a cuore con il Signore che ci dice incessantemente: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. (Mt 25,40). Come Maria, Egli ci chiama ad essere sempre attente ai bisogni delle persone, qualunque sia il loro credo, la loro razza o cultura, ad ascoltarle, e spesso a rimanere in silenzio e a parlare solo con un semplice gesto o con un sorriso perché le parole possono sembrare vuote, incomprensibili e inutili di fronte alla gravità delle loro tragedie familiari: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». (cfr. Mt 14,27).

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